IO, PHROCIO, CONTRO L'OMOSESSUALITÀ ROMANTICA


IO, PHROCIO, CONTRO L'OMOSESSUALITÀ ROMANTICA

C'è chi mi chiama omosessuale, chi gay, chi queer, chi addirittura ricchione o phrocio. Dovrei offendermi? Perché? È quello che sono, mi piacciono gli uomini, mi piace il cazzo, che male c'è? Ad un “brutto phrocio”, io rispondo: “brutto o dici a frait! phrocio? è quello che sono!” Dovrei smettere di dire che sono phrocio solo perché c'è chi usa questa parola per insultarmi? Chi lo ha deciso? 
Quando ho capito di essere gay, ho capito che la mia vita che consideravo normale, mai più sarebbe stata “normale”. Ma in fondo cos'è la normalità, se non un volersi necessariamente adeguare ad uno schema borghese fatto di coppie “felici” formate da due personaggi delle favole che stanno insieme perché si amano e vogliono costruire insieme la loro famiglia perfetta, con l'uomo cavaliere che compra fiori, cioccolatini e offre inviti a cena, e la donna damigella dolce che si fa aprire la portiera e si fa bella per lui? 
E i gay? Insomma sono phrocio, posso anche non essere incluso in tutta questa eteronormatività. O no? E invece no, anche noi gay, almeno quelli che vogliono essere accettabili o rinchiusi in uno schema borghese ed eteronormato, devono, per poter essere amalgamati con gli altri, per poter essere inclusi, aspirare a tutto questo. 
L’amore, tutti i gay devono cercare l’amore. L’amore romantico, sia chiaro, quello delle favole dove l'amore vince su tutto. Perché, vedete, se siete dei maschi eterocis potete anche fare il cazzo che vi pare con la vostra vita sessuale, ma se siete donne o gay o membri della comunità LGBT+…beh allora per poter giustificare la vostra condizione, per poter giustificare il desiderio di vita sessuale, dovete cercare l'amore. 
E così, quando mi avvicinai ai movimenti arcobaleno, notai, da parte delle stesse persone che vivevano una vita sessuale diversa dal resto delle persone “normali”, un desiderio di conformismo al punto da portarli a giustificare il loro orientamento sessuale con l’amore, col romanticismo. Ed ecco che l'amore ed il romanticismo diventano uno strumento di lotta politica per giustificare una diversità ed ottenere quindi un riconoscimento di diritti. E poi gli slogan. Sempre gli stessi. Love Is Love. L’amore non ha sesso. Cuoricini e cazzate varie. 
Ma stiamo rivendicando dei diritti o siamo dei ragazzini finiti per sbaglio in una telenovela phrocia o in un teen drama gaio? Non fraintendetemi, io amo, io so amare, i gay amano e sanno amare, ma stiamo comunque parlando di un orientamento sessuale, non di un orientamento romantico: è omosessualità, non omoromanticismo. Perché giustificare una lotta politica con l'amore? I sentimenti che c'entrano con la lotta politica? Perché a questo punto non giustificarla col fatto che AMO succhiarlo o prenderlo nel culo? 
La verità che si racconta è che c'è, si nota, negli ultimi anni, diciamo, un imborghesimento da parte del movimento di liberazione omosessuale. La realtà, quella vera, vera per davvero, è che questo imborghesimento c'è sempre stato. I movimenti arcobaleno o di liberazione omosessuale sono sempre stati intrisi di borghesia, sono nati già borghesi. Il bdsm, il sesso, lo scandalo, gli effeminati, i bear, i twink, le checche, le Drag, le puttane sono sempre stata la parte sporca da nascondere sotto il tappeto, quella da non mostrare quando si rivendicando dei diritti. Perché non è accettabile chiedere diritti per il semplice fatto che sei un uomo a cui piace il cazzo, no, per poter chiedere diritti, devi amare, devi essere romantico! 
E così iniziano i gay o le lesbiche o i bisessuali con le solite stronzate perbeniste a dire agli altri LGBT+ come devono manifestare; il sadomaso, le fruste, i tacchi, le calze a rete devono sparire per lasciare spazio all’amore, al romanticismo. Perché sono l'amore, il romanticismo, gli unici elementi che devono essere rappresentati all'interno di un'omosessualità che urla e chiede diritti. Ciò che si fa in camera da letto, mi è stato detto dai miei stessi fratelli phroci, ops venia volevo dire omosessuali, deve restare in camera da letto; perché i gay, per poter essere accettati ed essere degni di fare parte del club degli etero, devono essere rappresentati dal love, non dal sesso. Esattamente, l'orientamento sessuale va rappresentato non dall'attrazione sessuale, ma dai sentimenti romantici, paradossale ma è così: nella rappresentazione dell’omosessualità non c'è spazio per il sesso. Non c'è spazio per la volgarità. La stessa parola phrocio non può essere usata, perché considerata volgare. 
Così mi viene detto. Così, a me che sono gay, gli altri gay e la società tutta cercano di spiegare a me, che ripeto sono gay, com’è e come va rappresentata l'omosessualità. Ma a nome di chi state parlando? Quello non sono io! Tutto ciò non mi rappresenta! L'omosessualità è sesso, gente! Mostriamolo! Lo scandalo, che state cercando di nascondere…beh è proprio quello l'elemento che ha dato il via al tutto. O credete che Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera e gli altri andassero in giro a parlare di coppie romantiche? No, gente, parlavano di sesso, avevano tacchi a spillo a volontà, calze a rete, perizomi, erano emarginati, erano puttane; ed erano lì a rivendicare i diritti, non con l'amore, non col romanticismo, ma con il sesso, con lo scandalo. Nelle piazze. Nei Pride. Ovunque. Noi siamo ovunque, ovunque siamo. Più o meno così dicevano. E non si riferivano a noi che amiamo. No. Si riferivano a noi phrocie. Scandalose phrocie. Succhia cazzi phrocie. Sessuali phrocie. Ecco cosa facevano quelli dello Stonewall, ecco chi erano. Non erano borghesi, non parlavano di amore. Amavano? Può darsi! Ma il punto non è questo. Il punto è che l'amore non c'entra. Loro volevano i loro diritti. Parlavano di diritti. Diritti che ci vengono negati, ancora oggi, non per chi amiamo o per come amiamo ma per chi e come scopiamo. Alla gente non gliene frega un cazzo se amo un uomo, la gente mi discrimina perché voglio il cazzo. E allora mostriamolo, mostriamo questo! 
La romantizzazione dell'omosessualità è il male, l'amore è un sentimento umano che non va necessariamente collegato ad un orientamento sessuale. Io posso anche non amare mai nessuno nella vita, non per questo non debbo essere meritevole di tutela. L'amore romantico, come sublimazione dell'omosessualità, è un concetto che tende a normare un'attrazione che è puramente sessuale, un'attrazione verso il proprio stesso sesso/genere, che, per sua definizione, esce dalla norma. Io non voglio essere normato, io non voglio essere normale, poiché la normalità è il problema, la normalità fa schifo. Il voler necessariamente cercare nell'amore romantico una giustificazione su qualcosa che non va giustificato o, peggio, una sorta di accettazione sociale che punta proprio alla norma, è una narrazione tossica dell'omosessualità in cui molti gay e molte lesbiche ed anche molti bi-pansessuali (nel momento in cui vivono un rapporto od una relazione di natura omosessuale) non ci si ritrovano e non si sentono raccontati o rappresentati. Semmai si sentono, ci sentiamo, sovradeterminati da una narrazione che non sentiamo nostra e che non ci appartiene. Non vogliamo essere accettati, non vogliamo elemosinare una normalità. Vogliamo solo essere tutelati, vogliamo solo i nostri fottutissimi diritti, li esigiamo, li pretendiamo, li rivendichiamo. I diritti sono nostri, ci appartengono, i diritti non vanno giustificati coi sentimenti. 
Smettiamola di giustificare i diritti delle persone LGBT+ con l'amore romantico o coi sentimenti. Smettiamola di voler necessariamente ripulire la nostra sessualità per renderla più accettabile, meno sporca e più meritevole di tutela. E ricchione, phrocio sono belle parole, non sono motivo di vergogna, ma di orgoglio, riprendiamocele, rivendichiamole, ribaltiamole, usiamole! Queste parole, insieme al sesso, lo scandalo, la nostra sessualità tutta non devono essere un'arma per distruggerci, ma uno strumento di lotta per combattere!!

Credits:

FOTO Alexandre Chellali

ARTICOLO scritto da un admin di questo blog circa un anno fa durante una collaborazione che ebbe con (e tra) due pagine, segue link della pubblicazione originale

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