Senza frontiere non c'è tratta


Senza frontiere non c'è tratta

La lotta contro la tratta finalizzata alla prostituzione forzata è parte delle politiche della restrizione migratoria.



Periodicamente riemerge pubblicamente il tema della prostituzione, sempre associata nell’immaginario alla tratta, spesso di proposito e senza ingenuità.

Le più estreme delle posizioni abolizioniste contribuiscono a spargere sessuofobia con un linguaggio proprio di Torquemada, e i politici e le politiche si erigono come salvator3 di queste “povere donne”, puntando su nuove proibizioni, più polizia, più sanzioni penali.

Solitamente, mancano -o non sono sufficientemente ascoltate- le voci dell3 prostitut3, delle persone che effettivamente subiscono materialmente nelle loro vite i cambiamenti portati da queste nuove pene.

La scusa è che sono voci “privilegiate”, o che formano quella piccola parte di sex workers che non si prostituisce in maniera forzata.

Le cifre che si sanno per buone, e che molti media riportano citando fonti non verificate, e che, oltre a ciò, sono state confutate molte volte, dicono che un buon 85 o 95% delle donne (nota di traduzione: ho lasciato donne perché di solito i media del resto delle soggettività non parlano) che si dedicano alla vendita di servizi sessuali sono intrappolate in reti di tratta.

Se ciò fosse vero, se davvero quasi tutte le donne e le persone che si dedicano al commercio sessuale lo facessero contro la loro volontà, o in situazioni di sfruttamento lavorativo, non si capisce come mai le cifre di individuazione delle vittime siano così irrisorie.

Amnesty International ha denunciato che nel 2019, a metà anno, solo 42 donne erano state identificate formalmente come vittime di tratta, secondo i dati della polizia, e nel 2018 solo 128.

In verità, e nonostante sia complesso ottenere cifre certe delle attività criminali, rapporti dell’ONU e dell’UE dicono che la percentuale più precisa sia circa il 14/15% di donne vittime di tratta, rispetto a tutto il lavoro sessuale.

La maggior parte dei partner di governo- Bildu, ERC e PNV- così come Junts, la CUP e lo stesso “En Comù Podem” hanno chiesto il ritiro di questi articoli dalla Legge di Libertà Sessuale.

Tuttavia, il presidente Sánchez, nella sua battaglia per accaparrarsi la bandiera di femminismo, ha promesso una legge per abolire la prostituzione in questa legislatura, sebbene per ottenere alcune delle misure che propone, come penalizzare il cliente, non può contare su un sostegno manifesto. Vedremo.

Dare la colpa alla mafia serve solo per nascondere le responsabilità dei governi nell’esercizio della violenza contro donne e persone, rese vulnerabili alle reti della tratta dalle frontiere di quegli stessi governi.

Di fatto, le proibizioni e le persecuzioni non godono di una popolarità sociale diffusa, come indicano le inchieste.

Per cercare di invertire questa tendenza, proprio ora si stanno utilizzando milioni di euro- che dovrebbero servire alla lotta contro la tratta e contro la violenza machista- a campagne pubblicitarie destinate a generare allarme sociale.

Il miglior modo di farlo è continuare a confondere la tratta e la prostituzione volontaria, diffondere il mito del 95%, in modo che queste leggi punitive possano leggersi come una vittoria sociale. Di conseguenza, per questo motivo,c’è necessità di zittire l3 prostitut3 organizzat3 il cui discorso non si adatta a questa narrazione.

Inoltre, una possibile conseguenza negativa di questo paradigma è che si continuino a destinare gli scarsi fondi esistenti per la lotta contro la tratta a perseguire i “puteros” (termine dispregiativo usato verso i clienti dell3 prostitut3), invece di smantellare mafia e sfruttamento, che sarebbe la cosa più difficile e costosa- e necessaria.

Oltre al fatto che lo scandalizzarsi e l’indignazione verso la prostituzione forzata fa sì che vengano dimenticate altre vittime di tratta in altri ambiti lavorativi, come il lavoro domestico, o il lavoro schiavile nei campi.

Senza leggi restrittive sull’immigrazione non c’è traffico di persone.

La maggior parte delle donne (ho tradotto con “donne” dove sono riportati dei dati, dato che questi si riferiscono solo a questa popolazione in particolare) che si dedicano alla prostituzione nel nostro paese sono migranti – tra il 75 e il 90%. Nonostante l’immaginario tradizionale della tratta vede la persona sequestrata, nella realtà questi casi sono molto poco abituali. La maggior parte delle persone che finiscono nelle reti di tratta sebbene non tutte- stavano in quel momento tentando di migrare e si sono trovate intrappolate in un sistema brutale, perché quando le persone migrano senza documenti hanno pochi o nessun diritto.

Il traffico di esseri umani è un mezzo che utilizzano moltissime persone per migrare, come si vede in questo magnifico reportage di Patricia Simón su Píkara Magazine, dove si approfondisce il legame tra le frontiere e la tratta.

Il traffico di esseri umani è un delitto contro lo Stato, e il termine si riferisce alle reti illegali che utilizzano l3 migranti per attraversare le frontiere chiuse.

Invece, la tratta è un delitto contro le persone, nel momento in cui queste vengano sfruttate; obbligate a lavorare in maniera forzata -nel campo, nel lavoro domestico, nei laboratori- o a fare altre cose contro la loro volontà -mendicare, sposarsi…-.

Molte persone che vogliono migrare ma non hanno le risorse per pagare le reti di traffico ricorrono ad un sistema di indebitamento: si impegnano a lavorare una volta arrivate in Europa per saldare le spese del viaggio.

È qui che il traffico si trasforma in tratta. Questo è il primo gradino dello sfruttamento, perché una volta arrivate – alcune persone sanno che si dedicheranno alla prostituzione, altre no- si trovano in condizioni completamente diverse da quelle che avevano immaginato: debiti impossibili da estinguere perché continuano ad essere incrementati, violenze e minacce, nessuna possibilità di decidere come esercitare il lavoro o di rifiutarsi di fare qualcosa, ecc.

Non avendo documenti ed essendo sotto la minaccia di deportazione, hanno poca o nessuna possibilità di uscire da questa situazione. Ovviamente, il fatto che molte di queste persone sappiano già in anticipo che faranno lavoro sessuale non le rende meno vittime, né tantomeno il fatto che sia loro volontà attraversare le frontiere. Ma se si parla di “sequestro”, invece che di migrazione, è più facile evitare le responsabilità dello stato.

“Buona parte del discorso dominante sulla tratta descrive l’abuso sulle persone migranti e su chi vende servizi sessuali come azioni negative individuali, estranee ed indipendenti dalle azioni dello Stato e dalle opinioni politiche. A volte questo discorso serve non solo per nascondere il ruolo dello Stato, ma anche per assolverlo”, dicono Juno Mac e Molly Smith, lavoratrici sessuali e autrici di “Puttane insolenti”.

Le politiche contro la tratta della prostituzione forzata danno un tocco umanitario ai controlli migratori che, al posto di essere visti per quello che sono, una macchina di morte destinata a proteggere le frontiere a tutti i costi, si camuffano da dispositivi di lotta “contro la mafia” o “contro il traffico di persone”.

Come spiega Nandira Sharma, canalizzano l’opinione pubblica verso l’indignazione contro i trafficanti o chi attua la tratta, per fare da sostegno ad un’agenda punitiva di indurimento penale e rafforzamento dei propri controlli migratori.

LA POLIZIA NON È FEMMINISTA

La lotta contro la tratta è politica migratoria. Dare la colpa alle mafie serve solo per nascondere la responsabilità dei governi della violenza su persone che sono rese vulnerabili alle reti di tratta dalle frontiere.

Come riporta l’articolo di Simón, questa è la scusa che usa il governo del Marocco per sgomberare gli accampamenti dei migranti sui monti, e radere al suolo “le abitazioni in cui le reti di tratta nascondono le donne, detenute e poi deportate in autobus fino alla frontiera algerina, la più violenta di tutto il percorso”. È così che le “riscattano” in Marocco.

In Spagna, alle vittime di tratta non vengono sempre riconosciuti i diritti umani e il sostegno di cui necessiterebbero.

Per lo Stato, e per chiunque, proprio ora, le sta strumentalizzando per fare campagne politiche, le vittime di tratta sono persone “illegali”, senza documenti.

Ufficialmente, possono dire di battersi contro le mafie, ma sono loro, le vittime, che finiscono per essere deportate, nei Centri di Internamento per Stranieri (Centros de Internamiento de Extranjeros) -anche rinchiuse con chi le ha intrappolate nelle reti di tratta-, o in prigione.

Questo segnala Amnesty International, per cui “lo Stato Spagnolo predilige il controllo poliziesco e migratorio alla protezione delle vittime di tratta di sfruttamento sessuaale”. (Alle volte, quando sì, sono identificate come vittime, possono anche finire in centri di sostegno, ma anche lì sono sottoposte a controllo coatto dei loro movimenti, come hanno denunciato le lavoratrici di APRAMP).

La lotta contro la tratta è politica migratoria. Al posto di predisporre meccanismi di aiuto e assistenza, quello a cui si dà la priorità è il controllo dell’immigrazione irregolare e il ricatto ad accettare condizioni di sfruttamento in ambito domestico, agricolo o tessile.

La vera soluzione alla situazione delle persone che finiscono nella tratta è permettere loro di migrare legalmente e con pieni diritti, non la criminalizzazione del lavoro sessuale. Questa non solo peggiora la vita dell3 prostitut3 che esercitano volontariamente -non obbligat3 se non dalla necessità di ottenere denaro per vivere-, ma rende ancora più difficile l’identificazione delle vittime di tratta.

Il femminismo abolizionista del PSOE, sostenitore di Podemos o no, dovrebbe concentrarsi a rispondere a queste domande, se è davvero preoccupato per la tratta: le frontiere verranno aperte?

Lasceranno che i flussi migratori passino da strade sicure, in modo che le persone non cadano nelle reti mafiose? E come dice Maria José Barrera del Collettivo delle Prostitute di Siviglia, daranno un’alternativa reale, non un lavoretto femminilizzato e in cui si viene sfruttatə, alle milioni di persone che oggi si prostituiscono? Dov’è il presupposto?

L’industria del sesso è tanto sessista quanto misogina. Non diciamo che nessunə soffre nel fare sex work, o che questi danni siano minimi e non debbano essere presi in considerazione”, dicono Mac e Smith.

Tuttavia, segnalano “si spreca molta energia politica dell’ostacolare il sex work, energia che non viene impiegata in ciò che è davvero utile, tipo aiutare all3 sex workers ad evitare le condanne, o assicurare loro stili di vita alternativi e validi che siano più che lavori miseri ma rispettabili”.

Il lavoro femminile, soprattutto quello che si esercita senza titoli di studio, in generale è precario e presenta maggiori indici di sfruttamento.

Ecco perché le migranti che optano per il sex work, dato che così hanno più guadagni e condizioni più accettabili, sono criminalizzate ed espulse, spiega la penalista Augustina Iglesias Skulj.

Meglio che portino per fare le pulizie o per lavori di cura, di cui le donne spagnole borghesi hanno bisogno per partecipare al mercato del lavoro. Le lavoratrici domestiche lo raccontano, se porti a passeggio un bebé o un anziano, non ti chiedono mai i documenti. Se sei ad un angolo di strada, sì.

È evidente che se si vuole far sì che la tratta -inclusa tutta la prostituzione- finisca, si necessitano misure complesse, politiche contro la disuguaglianza di genere, politiche economiche, sociali, educative che diano opzioni reali alle donne.

Queste misure, però, sono molto più complesse. È più facile modificare il Codice Penale ed estendere le proibizioni, non ha costi e alla fin fine quell3 che soffriranno conseguenze negative sono pover3, migrant3, donne e persone trans* a cui viene tappata la bocca. Ma se l’industria sessuale è evidentemente un’istituzione patriarcale, lo è anche la polizia.

In realtà, le soluzioni possibili devono dare potere all3 sex workers, non alla polizia. Questo si fa decriminalizzando la prostituzione come strategia di riduzione del danno.

Nonostante non sia una soluzione magica, e si debba combinare con molte altre politiche, toglierà immediatamente il fiato della polizia e del sistema penale dal collo dell3 sex workers e farà sì che la prostituzione sia un lavoro più sicuro e con meno violenza, o con più possibilità di affrontarla.

Come dicono Mac e Smith, “l’abolizione umana del sex work potrà verificarsi solo quando le persone marginalizzate non avranno più bisogno di sostenersi tramite l’industria del sesso; quando non sarà più necessaria alla loro sopravvivenza”.


Credits:


Su alcuni punti ci sono delle parti tradotte liberamente come spiegato nelle note di traduzione. 


Foto

Raggruppamento per i diritti delle prostitute in Valencia (Spagna)

Articolo originale 👇🏻

https://www.ctxt.es/es/20211101/Firmas/37768/fronteras-trata-prostitucion-politica-migratoria-abolicionismo-nuria-alabao-kenia-garcia.htm


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